Neoclassicismo in Italia


L’Italia si trova in questo momento suddivisa in tanti piccoli stati ed non ha di conseguenza una cultura unitaria, anche perché molte regioni sono assoggettate da entità straniere sino all’unificazione; in generale una situazione di povertà in Italia a cui consegue un’attività edilizia limitata. Abbiamo visto come Roma diventa capitale culturale dell’Italia con il Piranesi ed i pensionati dell’accademia, insieme al tedesco Winckelmann. 
A Roma, dopo il Piranesi c’è il declino come capitale culturale e troviamo Giovanni Battista Visconti, il quale riconvertirà gran parte delle sale del vaticano nel museo Pio Clementino, con un’opera che proseguirà per il primo ventennio del 900 (questi ambienti influenzeranno molto architetture europee). 
Nelle varie città e nei vari stati si hanno degli influssi diversi, ad esempio Trieste sente l’influenza tedesca, come anche a Milano (dove si trova un’architettura più sostenuta, sopratutto con le porte di città di Cagnola, considerato dalla critica un’architetto limitato, ma che con le porte ha avuto un notevole successo, sempre a Milano il neoclassico si conclude con San Carlo al Corso di Amati, verso gli anni 40 del 1800). 
In Italia non si sente un’impegno intellettuale serio, gli architetti più vivaci sono interessati al revival gotico, che ha tante istanze, sia di riproposizione del clima culturale del borgo medioevale in tutte le sue sfumature, molto interessante perché porta in se germi di quello che sarà il movimento moderno.
A Venezia abbiamo l’opera dei teorici, che discutono su come debba essere l’architettura del momento (improntata in genere su un pacato revival palladiano), come Milizia (1725-1798) il quale porta avanti le idee di Carlo Lodoli, un personaggio della fine del 600, il quale porta avanti l’idea di un classicismo strutturale tipico della cultura francese, vede l’architettura in termini funzionalistici, rifiutando implicitamente il lessico classico in quanto prevalentemente ornamentale (da Perault sino a Boullè, con lo stile impero). Altri autori che sono sulla stessa linea di pensiero sono Francesco Algatorri e Andrea Memmo.
A Milano abbiamo Piermarini (1734-1808), che lavorò prevalentemente in uno stile neopalladiano, di cui possiamo ricordare il Palazzo Reale ed il Teatro alla Scale (1776-1789), che viene considerato dalla critica di freddo classicismo, ma che diventa il simbolo del teatro all’Italia, dove si ha la parte della platea che ha una pianta a ferro di cavallo, con vari ordini di palchi (con al centro il palco reale), poi la scena e tra la scena e la platea la fossa mistica, dove ha sede l’orchestra (anche se sarà l’800 il momento del teatro dell’opera, che diventa un fulcro della vita mondana della città, infatti il teatro è corredato di ampi saloni e dove la gente va per farsi vedere e per vivere la vita sociale). In seguito il teatro viene anche progettato in maniera più democratica con il teatro wagneriano, con la sala ad emiciclo e non ci sono più i palchi, quindi l’importanza di un posto deriva dalla minore o maggiore vicinanza dalla scena; vedremo poi l’evoluzione in cui si avrà il teatro totale, in cui il pubblico non sia solo spettatore ma si senta coinvolto nell’opera.
Seguaci di Piermarini furono Leopold Pollak e Luigi Canonica, di cui vedremo alcune opere.

Nel museo Pio Clementino (1773-80) lavorano Simonetti e Camporese, dove vediamo un esempio di classicità. Troviamo il Palazzo Serbelloni (1775-94) di Simone Cantoni (che realizza la ricostruzione delle facciate di palazzo Ducale), dove le tre campate centrali di questa insolita facciata esibiscono un’alta loggia con colonne ioniche staccate dalla parete, dietro le quali corre un fregio continuo con figure a rilievo.
Petitot (1727-1801) allievo di Soufflot, fu un personaggio settecentesco ed ex pensionante dell’accademia di Francia a Roma, venne chiamato come architetto alla corte di Parma dove istituirà un’accademia, scrive il libro delle feste con tutte le incisioni con quello che era stato progettato per il matrimonio di Federico di Borbone e Maria d’Asburgo (con la classica scenografia effimera, interessante per il fatto che è effimera e come tale libera), vediamo come lavori anche sui costumi e sui fuochi artificiali; progetta anche la residenza estiva per Francesco Farnese e la biblioteca palatina.
Leopold Pollak (1751-1806), seguace di Piermarini, lavorerà con uno stile più vivace, fondendo elementi dello stile palladiano di Piermarini con la coeva architettura francese. Di lui ricordiamo a Milano sempre su modello neoclassico Villa Saporiti, Villa Reale e Villa Belgioioso, interessante per il suo giardino molto libero tipicamente all’inglese.
Luigi Cagnola (1762-1833), anche lui seguace di Piermarini è autore di gran parte delle porte della cinta milanese e dell’Arco della pace, abbiamo sempre riproposizione di temi di architettura romana, come la Porta Ticinese (viene invece considerata più interessante la porta Venezia del Vantini). Sempre del Cagnola la Chiesa della Rotonda (1822), che viene considerata la sua opera più interessante, e poi la Villa la Rotonda, rappresentato nei progetti dell’epoca con questo gusto del pittoresco con un primo piano sempre di verde e l’opera più lontana, considerata molto poco personale e fredda, soliti stilemi neoclassici.
A Trieste si trovano influenze tedesche, troviamo Matteo Pertsch che si affaccia sul lungomare con il suo Palazzo Carciotti, non abbiamo pronao ma una balconata di riproposizione rinascimentale; si affaccia sul canale che si chiede con la chiesa di Pietro di Novile, Sant’Antonio Nuovo, sempre neoclassica.
A Roma troviamo Antonio Asprucci lavora sul giardino seicentesco di Villa Borghese dove poi inserisce vari tempietti, come il tempio dedicato ad Esculario.
Questa rapida carrellata di opere ci fa capire che non presenti grandi autori, simbolo della frammentazione del paese.

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